Col deposito della decisione 169/2019 del 10 luglio 2019, la Consulta ha riaperto significativi spazi all’ottenimento di indennizzi nel caso di durata irragionevole dei procedimenti penali.
In questo senso la Corte ha infatti sancito l’illegittimità della disposizione – art. 2, comma 2-quinquies della Legge c.d. “Pinto”, n. 89/2001, testo vigente ratione temporis – che prescrive l’inammissibilità della domanda di equo indennizzo nel caso di mancato esperimento da parte dell’imputato del rimedio preventivo, consistente nel deposito dell’istanza di accelerazione del processo, entro i 30 giorni dalla scadenza del termine ritenuto ragionevole.
Nelle motivazioni, la Corte, censurando l’effettiva utilità di tale strumento a garantire un più sollecito svolgimento del processo, sostanzialmente conclude per il contrasto della disposizione con l’art. 117 co. 1 della Costituzione e particolarmente con gli obblighi internazionali di cui alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che a mezzo dell’art. 117 hanno ingresso nel nostro ordinamento.
La decisione è destinata ad avere impatto notevole anche sui processi instaurati prima del deposito della sentenza, in quanto, annullando retroattivamente la norma, spiega i propri effetti anche nei confronti degli imputati già incorsi nelle decadenze ritenute incostituzionali e i cui processi di riferimento abbiano già superato i termini ritenuti ragionevoli dalla legge: 3 (tre) anni in primo grado, 2 (due) anni in secondo ed un anno nei giudizi di legittimità.